0 Liked
  • Da: Assostampa FVG
  • aprile 12, 2006

“Dove va la professione?”

“Siamo un gruppo di colleghi della Rai accomunati – da molti anni – dall’avere trascorso mesi, giorni e ore sulle strade a cercare notizie, a seguirle, ad attenderle pazientemente ma anche a verificarle nella consapevolezza che talvolta sia necessario – nell’interesse del rigore della professione – spegnere i riflettori e dire dei no, oppure scegliere anche di arrivare più tardi, magari per spiegare di più.
Con riferimento a quanto accaduto in questi giorni in relazione alla cronaca tv del sequestro e della morte atroce del piccolo Tommy, sentiamo il dovere e l’urgenza di dire alcune cose -poche- ma chiare e inequivocabili: crediamo che esistano delle regole della professione da troppo tempo ormai dimenticate e derogate, nel silenzio, con complicità a vari livelli.
In questi anni abbiamo assistito a notizie date in ritardo o non date affatto anche quando erano rilanciate dalle principali agenzie di stampa come nella vicenda Calipari, abbiamo visto sale vuote riempite ad arte per compiacere questo o quel politico, sonori tagliati come nel contrasto tra il nostro presidente del consiglio e un parlamentare europeo.
E’ per questo che vogliamo aprire una riflessione su dove stia andando la nostra professione.
Pensiamo che il grave episodio del falso covo nonché della falsa gabbia mostrati al TG1, sia da ascrivere ad un contesto più generale nel quale, ormai da anni, si muove l’informazione del servizio pubblico. Una crisi e un’assenza di regole che è origine e causa di macroscopiche deformazioni, di cui la scoperta del falso covo mostrata al TG1 e’ l’ultimo, in ordine di tempo, di una serie di gravi episodi occorsi all’informazione Rai, dove assenti dal video, ormai da anni, sono le notizie dei gravi fatti nazionali che si intrecciano con la politica. Fatti censurati che hanno creato un grave vuoto nei TG riempiti pertanto di cronache delle coltellate, dei bambini scomparsi, dei vari casi Cogne, spesso pompati ed enfatizzati a fini politici per dare addosso a questo o quel magistrato, per creare cori da stadio sull’innocenza o la colpevolezza, per speculare sulle lacrime e sul dolore, con domande inutili che nulla hanno a che vedere con la notizia: “Lei come si sente?”, rivolto al genitore che ha visto il suo piccolo assassinato, e naturalmente a seguire: “Perdona gli assassini del suo bambino?”. L’inseguimento al dolore della famiglia Onofri per farle dire che è necessaria la pena di morte, durante una delle campagne elettorali più avvelenate del nostro Paese – frase strumentalizzata da qualche partito politico – non è consono alla responsabilità del giornalista.
E’ lecito usare un linguaggio ormai abusato come quello che ‘i bambini sono angeli’, ‘gli assassini sono dei mostri’, e ‘responsabili sono i magistrati che non hanno tenuto in galera i mostri’…?
Tutti luoghi comuni che rendono in molti casi i telegiornali indistinguibili da un qualsiasi programma televisivo del filone ‘dolore’.
Ci chiediamo cosa sarebbero i nostri TG del servizio pubblico se invece fossero stati mandati gli inviati al processo in corso a Genova sui poliziotti imputati per le presunte violenze ai NoGlobal del 2001 o se ci fosse un riflettore acceso sul processo in corso a Palermo Aiello-Cuffaro, su mafia e politica, solo per fare due esempi di fatti censurati. Piuttosto vengono inviati più giornalisti sulla cronaca che non si intreccia con la politica, sui quali si fa pressione per avere servizi anche quando le notizie non ci sono -o sono inventate- con rimproveri per chi non ha trattato bene la polizia o i carabinieri, con una gara imbarazzante tra corpi delle stesse forze dell’ordine a chi deve apparire di più.
Riteniamo che cedere un microfono a questo e a quello senza vaglio delle notizie, senza dire dei no al momento giusto, attribuendo ai colleghi di line un ruolo gerarchico e un potere di veto che il contratto non gli assegna, abbia fatto perdere credibilità e serietà alla professione del giornalista che opera sul campo e che cerca direttamente le notizie.
In questi ultimi anni il giornalista del servizio pubblico ha perduto autorevolezza non solo a causa dei condizionamenti politici subiti, ma anche perchè non ha più esercitato la responsabilità e i doveri della professione che sono personali. Chi l’ha fatto ha pagato un prezzo alto. Ed è stato bollato come estremista chi i fatti li ha raccontati svergognando le bugie.
Crediamo sia giunto il momento di promuovere un’autocritica e un rinnovamento di mentalità all’interno della RAI, nel modo di fare informazione con prese di posizione chiare e autorevoli, ritornando alla qualificazione professionale e alle regole.
Chiediamo al Sindacato quali iniziative intenda prendere per salvare quello che rimane della nostra professione di giornalisti radiotelevisivi”.

Francesca Barzini (TG3), Gianni Cerqueti (TGS), Francesca Decarolis (TG1), Alessandro Forti (TGS), Alessandro Gaeta (TG1), Maria Grazia Mazzola (TG1), Claudio Pistola (TG1), Roberto Scardova (TG3), Sigfrido Ranucci (Rainews 24), Francesco Vitale (TG2)