ELKANN VENDE ANCHE REPUBBLICA E STAMPA?
Quando c’è da tagliare, l’erba di casa propria è sempre la più fresca e tenera. Probabilmente la pensa così John Elkann, patron di Stellantis e della holding Exor, cassaforte della famiglia Agnelli. Perché dopo anni di cura dimagrante – via i giornali locali come Il Tirreno, il Secolo XIX e quotidiani del Nordest (fra cui Messaggero Veneto e Piccolo – ndr), L’Espresso e persino le radio – il decespugliatore di famiglia punta ora ai due pezzi pregiati: La Repubblica e La Stampa. I numeri, d’altronde, supportano quelle che in molti ritengono essere le intenzioni del “robotico” imprenditore: il quotidiano fondato da Scalfari ha perso, solo nel 2024, oltre 191.000 lettori (-6 per cento), mentre il giornale di casa, quello legato a doppio filo alla storia di Torino e della Fiat, ne ha salutati quasi 313.000 (-15,8 per cento), dati Audipress alla mano. Le copie cartacee vendute continuano a scendere: per Repubblica sono -8,5 per cento, mentre per La Stampa -13,2 per cento su base annua. E non va meglio sul digitale: Repubblica ha quasi dimezzato le copie (da 36.975 a poco più di 20.000), mentre La Stampa ha lasciato per strada migliaia di lettori in pochi mesi. Un calo che la pur dignitosa tenuta complessiva del mercato (+1,7 per cento di lettori complessivi nell’ultimo trimestre) non riesce a mascherare. Il quadro è questo: Elkann ha ereditato un gruppo già in sofferenza, ha tagliato, venduto, snellito, ma i conti restano in rosso: 224 milioni di fatturato, 15 milioni di perdite nel 2024. E ora? È tempo di “liberare” i due gioielli – almeno un tempo – del giornalismo nostrano dalle secche nazionali. Direzione? Parigi.
Già, perché secondo quanto trapela dal settore ci sarebbe già un soggetto desideroso di ricevere il “pacco” in partenza: Vivendi, il colosso dei media di casa Bolloré, reduce da un clamoroso smembramento societario (Canal+, Havas, Lagardère, Hachette e Universal Music, valore aggregato oltre 10 miliardi). In Italia, il gruppo, lo conosciamo bene: prima lo shopping su Telecom Italia e il braccio di ferro con Mediaset (con 4,5 miliardi bruciati), poi i tentativi di mettere radici nei media nostrani. Ora tornano in pista, ufficialmente come partner di minoranza, ufficiosamente con l’intento di entrare nel salotto buono dell’editoria italiana. Un déjà-vu che al governo un po’ inquieta: un Bolloré vicino alla destra francese (prima Zemmour, poi Le Pen) che entra in Repubblica e Stampa, ex santuari progressisti, fa storcere più di un naso. E mentre l’Italia svende i suoi gioielli del Made in Italy — basti pensare alle cessioni di Miroglio, Safilo, pezzi di Moncler — Elkann investe, sì, ma ben lontano da Torino o Milano: Louboutin, Hermès, Coach, l’Economist. Quella vocazione al lusso che avrebbe potuto rilanciare il nostro sistema produttivo, Elkann la coltiva oltreconfine, lasciando che le icone italiane finiscano in mani straniere.
Dunque, l’operazione Gedi-Vivendi si presenta come un perfetto capolavoro di stile: Elkann si sfila con eleganza, affida i resti al colosso francese e intanto si dedica ai suoi affari globali. Il prezzo? Il sistema editoriale italiano, incapace di sopravvivere tagliando in modo equo e giudizioso mentre applica nuovi ed efficaci modelli di business, potrebbe frammentarsi ancora di più. Testate storiche potrebbero perdere d’identità, fintanto che nessuno sarà interessato ad investire per coltivarla.
(Matteo Suanno, mowmag.com)25