0 Liked
  • Da: Assostampa FVG
  • dicembre 12, 2014

Ariella, la signora profumo di Londra

di Roberto Canziani
(discorso pronunciato in occasione della Consegna del San Giusto d’Oro 2014, ad Ariella Reggio)

La leggenda racconta di una signorina garbata, ben educata, che una cinquantina d’anni fa parte da questa città e se ne va a Londra,  per imparare l’inglese. Accompagnata dalla mamma.

La mamma ritornerà a Trieste. Ma lei rimarrà là, nella tumultuosa e trasgressiva capitale. La swinging London degli anni ‘60. I Beatles, i teatri, il cinema, la BBC. Imparerà l’inglese – Ariella Reggio – ma dai microfoni di quella importante emittente radiofonica, terrà lezioni di italiano. E lo insegnerà a tutto il mondo.

Ci crediate o no, quei pochi anni (forse 2, forse 5, qui la leggenda si fa misteriosa), quegli anni che Ariella trascorre in Inghilterra formano una personalità.
Ariella, la triestina profumo di Londra. E’ il titolo che le potremmo consegnare oggi assieme al San Giusto d’oro, che la festeggia fra coloro che di questa città fanno parlare. Soprattutto, fanno parlar bene.

Ariella è l’attrice di casa nostra che, come le più importanti attrici inglesi – da Maggie Smith a Judy Dench, da Glenda Jackson a Vanessa Redgrave – lascia nel cassetto il divismo. E  porta invece in palcoscenico il carattere e lo stile. Non ci stupiremmo poi tanto se un regista la chiamasse per interpretare in teatro, o anche in tv dove oramai è di casa, non le imperatrici asburgiche di Carpinteri e Faraguna che le sono tanto care, Sissi o Carlotta,  ma Elisabetta II, la sovrana  inglese, quella di adesso. Ariella e The Queen hanno lo stesso piglio, la stessa signorilità, la stessa discrezione.

Tra la Londra anni ’60 (in cui lei, vestita elegante, scopriva il grande teatro) e la Londra di oggi dove torna spesso, perché le piace sempre quel teatro,  perché le piacciono quegli attori (e gli attori non smettono mai di imparare dai colleghi); tra queste due fotografie di Londra. passano oltre 50 anni. Mezzo secolo in cui, con due compagni d’avventura indimenticabili, Orazio Bobbio e Francesco Macedonio, Ariella Reggio ha intanto trasformato il teatro a Trieste.

Lo ha fatto con le proprie mani, dando vita –  che vuol dire, dando risorse e forma professionale –  a un teatro e a uno stile che non esistevano prima: lo stile Contrada: un’impresa di teatro privata, ma anche una sala popolare, riempita sempre da un pubblico che il dialetto, ma anche il teatro brillante, la leggerezza della commedia, il sapore delle musiche in scena, li conosce bene. Oggi quella sala si chiama Teatro Bobbio. E Ariella ci ha messo dentro l’energia e il cuore, spendendoli entrambi nei personaggi che, come se fossero i quadri di una galleria, si potrebbero rievocare ad uno ad uno.
 
Non ne abbiamo, ovviamente, il tempo, perché questi personaggi sono tantissimi. Alcuni però, nella memoria degli spettatori, sono rimasti scolpiti  e raccontano. oltre la storia dell’attrice, anche il trasformarsi – da allora – della scena qui a Trieste.

“In quel giorno del ‘76 – racconta spesso Ariella – quando ci siamo presentati davanti al notaio, ci siamo resi conto che avevamo pensato a tutto. Ma non al nome da dare alla compagnia. Allora io ho suggerito il nome "contrada": era un termine italiano. Ricordava però anche le radici triestine del gruppo”.

Voglio solo rievocare la prova d’esordio della Contrada – A casa tra un poco  I foghisti del Lloyd – che nel maggio del ’76 si faceva strada a ridosso del terremoto che stava distruggendo il Friuli. E le belle stagioni del Teatro per l’infanzia con Marcovaldo e Marionette in libertà, e gli anni d’oro del Festival del Teatro Ragazzi a Muggia. E ancora Un sial per Carlotta e il  gioco di coppia di Tango viennese.
E poi le infinite peripezie delle “storie di terra, di mare”, e di fantasia soprattutto, di Carpinteri e Faraguna che per lei, proprio per lei, hanno costruito personaggi diventati icone.
Il cipiglio di Stefania Duda degli Ivanissevich, la matriarca delle fortunatissime Due paia di calze di seta di Vienna, oppure i vezzi di una locandiera patòca in Locanda Grande.
Ma è stata capace, Ariella, di essere anche una Galina vecia, e una sorella Materassi. Di imporsi come suocera bacchettona di Italo Svevo e di ritrovarsi anche fragile pensionata sballottata qua e là nei Tramàchi di Roberto Curci,  Per buona parte di questa carriera, diretta da Francesco Macedonio

Sono solo alcune delle sue creazioni d’attrice. Le ho ricordate per dimostrare che non sono stati solo la comicità, la simpatia, la naturale propensione alla battuta, a fare di Ariella un’attrice popolare. Ci sono in lei corde drammatiche e ripiegamenti pensosi.

Perciò sbaglia proprio chi confinasse Ariella Reggio nel perimetro di un teatro in dialetto, che rappresenta  tanto per questa città, ma che al di là del golfo, al di là dell’Isonzo e dell’Istria tace.
Sbaglia perché la sua carriera ha visto anche Giorgio Strehler lavorare con una Reggio giovanissima in Santa Giovanna dei Macelli.
(E peccato – o fortuna forse – che non si sia potuta realizzare l’altra grande avventura che l’avrebbe portata a raggiungere, su invito dello stesso Strehler, il cast dell’Arlecchino servitore di 2 padroni). Chissà quante cose sarebbero cambiate.
Questa stessa carriera ha visto anche Woody Allen sceglierla per il film dedicato a Roma, con Penelope Cruz, Alec Baldwin, Roberto Benigni. Vuol dire che lei, in mezzo al gotha del cinema internazionale, si è divertita . Proprio come si è divertita nel gotha alcolico che Matteo Oleotto ha costruito attorno al nostro Carso transfrontaliero in un altro film internazionale e pluripremiato Zoran, il mio nipote scemo.

E saremmo infine distratti, forse un po’ troppo intellettuali, se all’Ariella dei teatri e del cinema non aggiungessimo quella della televisione. Sia che conquisti il pubblico con la sua Zia Sofia Nicolini, in una serie televisiva tra le più amate e non solo per il titolo[ Tutti pazzi per amore]. Sia che il  più grande gestore di telefonia mobile in Italia, la convinca, in uno spot famoso, a inventare una nonna che è più “telematica” della nipote. E’ nonna Ariella che regala lo smartphone alla nipote Chiara, 18enne di provincia che parte per l’università. Vi assicuro che Ariella, Whatsapp lo sa usare bene.

Qualcuno potrebbe pensare, con rammarico, che questa popolarità sia arrivata tardi, purtroppo, quando più che una Giulietta innamorata, o una bisbetica domata, Ariella indossa con  più naturalezza gli abiti di una nonna. Lei, invece, non si rammarica affatto. E la Maschera d’oro che le è stata consegnata due mesi fa a Napoli, come miglior attrice non protagonista, è la dimostrazione.

“Certe cose, vissute a una certa età, trovo che siano ancora più belle” – mi ha detto una volta. “Woody Allen  l’avevo visto suonare il suo clarinetto in un pub di New York, tanti tanti anni fa. Mai e poi mai avrei pensato che scegliesse me per un suo film. Quando si passano i 70, la soddisfazione è più grande, perché non si inseguono più miraggi fasulli. Ci si sente appagati, per essere stati scelti per quello che siamo, non per quello che vogliamo far credere”.

E infatti: non è mai troppo tardi. E’ il motto che Ariella sembra rivolgere prima di tutto alle donne di questa città. Si può essere apprezzate, benvolute, riconosciute, amate. Si può essere attive, intraprendenti, vivaci, anche se si sono già spente la 50, le 60, anche 70 fatidiche candeline.
Simpatia, buonumore, voglia di fare non sono questione di età, ma di temperamento. Pensate alle temperamentose Glenda Jackson, Judy Dench, Maggie Smith, e anche a Helen Mirren, The Queen.

Nel dialetto di casa nostra, il temperamento allegro e vivace si chiama morbìn. E lei è la nostra morbinosa:Ariella “batùda de morbìn”. Che però non ha mai perso quello speciale, distinto, e inconfondibile profumo di Londra. Proprio come vuole la leggenda.

(Trieste, sala del consiglio comunale,12 dicembre 2014)