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  • Da: Assostampa FVG
  • febbraio 11, 2013

GIORNALI, FRA CHIUSURE E STATI DI CRISI

dal sito Lettera43:
Se come, scriveva il filosofo tedesco Friedrich Hegel, «il giornale è la preghiera del mattino dell’uomo moderno», quello contemporaneo potrebbe diventare completamente ateo vista la morìa di riviste e quotidiani che ogni giorno stampano la loro ultima copia e spariscono dal mondo dell’informazione. Così è successo a Liberazione, a Sardegna24, a City. Così temono il Manifesto, il Foglio, Europa e Il Riformista e almeno 100 altre testate cartacee e radiotelevisive che rischiano di essere spazzate via dalla crisi, dallo switch off e dalle sforbiciate del governo Monti.
IN TRE ANNI 37 AZIENDE IN STATO DI CRISI. Dal 2009 a oggi sono state 37 le aziende editoriali a cui il ministero del Lavoro ha riconosciuto lo stato di crisi, concedendo di mandare in prepensionamento 591 dipendenti e1.210 giornalisti in cassa integrazione straordinaria e di applicare a ben 1.019 lavoratori i contratti di solidarietà. Una cura da cavallo che non è bastata a guarire il sistema dell’informazione sempre più in difficoltà. E così anche nel 2012 lo scenario rischia di essere uguale o peggiore di quello del 2011: serrate, redazioni decimate dalle ristrutturazioni, ricavi della pubblicità in continuo calo, blocco del turn over, aumento del precariato. E altri stati di crisi: Rcs periodici oltre a dover assorbire i giornalisti di City, ha già firmato l’accordo per altri 22 prepensionamenti, Il giornale di Sicilia ne ha chiesti 11, Il Sole 24 Ore e Radiocor hanno attivato i contratti di solidarietà, che a breve saranno applicati anche a Radio24 e alle Guide del Sole.
LE CONVENZIONI DI FORNITURA DELL’ANSA. Infine l’Ansa che a gennaio ha chiuso lo stato di crisi e ne ha chiesto un altro per far fronte ai 7 milioni di euro di tagli da parte dallo Stato, con il quale l’agenzia aveva numerose convenzioni di fornitura di servizi per ambasciate e ministeri. «Lo Stato è il suo principale committente e negli ultimi anni i tagli hanno superato i 12 milioni di euro mettendo in crisi l’azienda», racconta a Lettera43.it Franco Siddi, segretario generale della Federazione nazionale della stampa (Fnsi).
LA MANNAIA dei tagli all’editoria e l’uso illecito dei finanziamenti. Ad alimentare la crisi non sono infatti solo l’avvento dei nuovi media, la gratuità della Rete, i giovani che leggono sempre meno i quotidiani. A pesare sono soprattutto i tagli all’editoria da parte dello Stato.
IL CASO ECLATANTE DI CIARRAPICO. Compresi quei sussidi nati per evitare che la circolazione delle idee venisse appaltata solo a chi ha i mezzi, e finiti spesso nelle mani sbagliate di editori improvvisati e disonesti. Il caso che ha coinvolto Giuseppe Ciarrapico, colpevole, secondo l’accusa, di aver truffato 45 milioni di euro alle casse dello Stato costituendo cooperative editoriali fasulle e incassando finanziamenti ai quali non aveva diritto, è solo l’ultimo caso di illecito nel mondo dell’editoria.
IL MONITO DEL PREMIER MONTI. Tanto che il 29 dicembre anche il presidente del Consiglio Mario Monti ha parlato della necessità di una «bonifica dei criteri di erogazione». Anche se «è impensabile eliminare completamente i contributi, che sono il lievito dell’informazione pluralistica, sarebbe però altrettanto superficiale», ha concluso, «chiudere la questione lasciando le cose immutate, per di più in un momento in cui ogni euro speso deve essere sottoposto a verifica».
LA NECESSITÀ DI MAGGIORI CONTROLLI. Un controllo serrato che auspica anche Siddi: «Sono tante le società che si sono costituite per avere poter ottenere facili, servono criteri di verifica più severi senza colpire l’intero sistema che va invece ripulito e tutelato». Per ora la prima toppa è stata messa dal regolamento Bonaiuti attivo da inizio gennaio che per stabilire l’erogazione dei contributi all’editoria si propone di prendere in considerazione il numero di lavoratori assunti dal giornale e calcolare, anziché le copie stampate, quelle vendute escludendo anche tutte quelle cedute in stock a 50 centesimi ciascuna per fare numero.
CIRCA 100 LE TESTATE a rischio chiusura. Intanto però la campana di allarme è già suonata per l’editoria di partito, di cooperativa, di idee e non profit, che in attesa della riforma rischia di scomparire per mancanza di liquidità. Secondo i calcoli della Fnsi entro fine 2012  potrebbero chiudere almeno un centinaio di testate, già 30 nei prossimi mesi «e tante altre sono border line», denuncia Siddi. A rischio sono Liberazione, che dopo il naufragio in edicola cerca di approdare online, il Manifesto che è in mano ai liquidatori, l’Unità alla disperata ricerca di un acquirente, Finanza e mercati di Editori per la Finanza, che fa capo al costruttore Danilo Coppola, uno dei furbetti dell’operazione Bnl. Ma anche La Cronaca di Piacenza e di Cremona che dal 22 gennaio hanno sospeso le pubblicazioni, il quotidiano Informazione-il Domani che dal prossimo primo febbraio non sarà più in edicola dopo l’annuncio dell’azienda Editoriale Bologna Srl che metterà 36 giornalisti delle tre redazioni di Bologna, Modena e Reggio Emilia in cassa integrazione.
TAGLI DEI CONTRIBUTI DEL 45%. I problemi però sono annosi, gli ultimi in ordine di tempo sono i tagli lineari fatti con la legge di stabilità al fondo per l’editoria che, a fronte di un fabbisogno pari a 160 milioni di euro, nel 2012 è per ora di circa 52 milioni di euro. «Negli ultimi tre anni il taglio tra contributi diretti e indiretti è stato del 45%», dice il segretario della Fnsi. A questo intervento, in poco meno di un mese, si è aggiunto quello contenuto nel decreto salva-Italia che all’articolo 29 ha stabilito la fine dei contributi diretti all’editoria a partire dal 2014.
BLOCCO TURN OVER. «Negli ultimi due anni si sono persi 700 posti di lavoro su 18.500 per la ristrutturazione. Nel 2011 per la prima volta nella storia abbiamo avuto un saldo negativo di 250 unità tra i licenziamenti e nuovi assunti. Quest’anno, senza i contributi pubblici, rischiamo di perdere altri 400 posti di lavoro», dice Siddi, che non parla più di «salvare realtà editoriali da un’ondata di crisi, ma di gestire situazioni di crisi senza ritorno». A cui si aggiunge ora «la preoccupazione per la radiotelevisione locale a causa del passaggio dall’analogico al digitale, che ha creato molte più realtà lasciando però la stessa fetta del mercato pubblicitario da spartire», dice a Lettera43.it Andrea Camporese, presidente dell’Inpgi (l’ente di previdenza dei giornalisti).
SETTE ANNI FA IL DECLINO. «I trend però sono negativi e lo sono da anni», riconosce Camporese. «Il declino dell’occupazione nella carta stampa è nato sette anni fa, molto prima della crisi». Una diminuzione degli occupati per anni totalmente compensata e superata dalla crescita dell’occupazione nel sistema della radiotelevisione locale e degli uffici stampa pubblici. Un’ancora di salvataggio che ormai da tre anni  «non riesce a compensare le perdite nella carta stampata», osserva Camporese: «Si sono fermati a circa 2 mila gli occupati degli uffici stampa pubblici e a 2 mila quelli della radiotelevisione locale. Si è saturato un mercato». Siddi: «Cautelarsi da chi vende illusioni e fa operazioni pirata». .Ma se a soffrire di più sono le piccole realtà, anche quelle grandi continuano a inviare segnali non rassicuranti. Come scriveva Georges Clémenceau, «i giornalisti sono come le donne: le amanti che non domandano niente sono quelle che costano di più». Sebbene infatti non usufruiscano di finanziamenti pubblici, grandi gruppi come Ansa, Hachette Rusconi, Mondadori, Rcs Periodici, Rcs quotidiani, Il Sole 24 Ore e l’Espresso negli ultimi tre anni  hanno chiesto lo stato di crisi e ottenuto il permesso di prepensionare 352 persone su 591 autorizzazioni concesse dal ministero a tutte e 37 le aziende editoriali richiedenti.
INPGI FONDO SOLO PER ALTRI 600. Ad accudire i prepensionati però ci pensa l’Inpgi che gestisce un Fondo finanziato dallo Stato con 20 milioni di euro l’anno, a cui si aggiunge un versamento dell’editore che paga un contributo straordinario del 30% del costo del singolo pensionamento anticipato. Una risorsa che seppur cospicua sta per finire: «Oggi la capienza del fondo è minore, più della metà è già state usate nel 2011, nei prossimi due o tre anni la quota di prepensionamenti che possiamo sostenere non va oltre le 600 persone», dice Camporese.
UN INVITO ALLA PARSIMONIA. L’invito è quindi alla parsimonia nell’uso dello strumento. «Gli editori dovrebbero stare attenti a non sprecare tutte le risorse per gli ammortizzatori sociali, che vanno usati per fronteggiare esigenze reali», sottolinea Siddi. «I prepensionamenti vengono invece spesso usati come valvola di sfogo», critica il segretario della Fnsi. «Serve lealtà e responsabilità nel negoziato, senza alterare gli equilibri di mercato. Gli editori non devono farsi concorrenza sleale tra loro».
NO AI FURBETTI DELL’EDITORIA. Con troppa facilità, infatti, si chiede spesso lo stato di crisi, che tra l’altro, grazie alla legge 416/8, è riconosciuto all’azienda editrice senza l’applicazione dei criteri economico-finanziari previsti per tutti gli altri comparti industriali. Insomma no ai furbetti dell’editoria, «che hanno pulsioni di gigantismo o che per curare le loro velleità politiche creano realtà editoriali poco credibili», denuncia Siddi.
IMPORRE DELLE FIDEIUSSIONI DI DUE ANNI. La proposta dell’Fnsi è di arginare questo fenomeno imponendo delle vere e proprie fideiussioni «di almeno due anni per garantire una continuità al progetto messo su senza scaricarlo subito sulle spalle della collettività in caso di fallimento», dice il segretario della Federazione, che sulla rapida chiusura di Sardegna24, il quotidiano diretto da Giovanni Maria Bellu, ex condirettore dell’Unità, lamenta proprio la mancanza di capacità imprenditoriale, «è logico che con 250 mila euro di capitale non si va avanti, siamo stufi di vedere editori improvvisati». Visto il processo di devastazione in corso, «bisogna cautelarsi da chi vende illusioni e fa operazioni pirata».
Antonietta Demurtas