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  • Da: Assostampa FVG
  • aprile 12, 2016

INPGI, ALLARGARE LA PLATEA CONTRIBUTIVA

Riceviamo e diffondiamo una lettera del fiduciario Inpgi del Piemonte, che riferisce su un interessante lavoro svolto in quella regione al fine di far emergere posizioni contributive giornalistiche erroneamente accreditate all’Inps anziché all’Inpgi.

Cari colleghi,
si sta chiudendo in Piemonte una prima fase di iniziative per dare miglior diffusione alle norme di legge sulla previdenza dei giornalisti e riportare all’Inpgi una fascia significativa di contribuenti. Approfitto della concomitanza con le elezioni del nuovo Cda e del nuovo Presidente dell’Istituto per dare conto di quanto finora concluso e dei risultati che si potrebbero realizzare con un’azione comune.
LA VERIFICA – L’operazione messa in campo nella Circoscrizione Piemonte è nata da una duplice constatazione:
1) L’unanimità delle analisi considera fondamentale per l’Inpgi allargare la platea contributiva alle migliaia di colleghi che operano al di fuori delle realtà un tempo tradizionali per la professione, come carta stampata e tv. Tra questi, a parte l’area dei new media (web giornali, internet tv, blogger), il vastissimo mondo degli addetti stampa dell’area pubblica e privata. Colleghi che, in base alle leggi 388/2000 e 150/2000, già dovrebbero vedere le loro posizioni contributive trasferite fin dal 2001 all’Istituto, e invece sono tuttora iscritti a Inpdap e Inps.

2) La categoria ha a sua disposizione, per qualsiasi verifica, il miglior data-base possibile: l’elenco degli iscritti all’Ordine, professionisti o pubblicisti. Perché sono tutti compresi in queste liste (quasi 120 mila nomi in Italia) coloro che – in presenza di attività di tipo giornalistico, com’è quella degli uffici stampa – devono per legge essere iscritti all’Inpgi (dove invece – tra Inpgi/1 e Gestione Separata – ne risultano poco meno di 50 mila).
I RISULTATI – Da un controllo incrociato fra gli elenchi di Ordine e Inpgi sono emersi i nomi di quasi duemila colleghi piemontesi del tutto sconosciuti alla previdenza di categoria. Una seconda verifica, con ricerche sui siti web, ha prodotto una lista di circa 300 addetti stampa mai iscritti all’Inpgi. Tutti sono stati raggiunti con lettere ed e.mail che ricordavano le norme sulla previdenza di categoria, con allegate le circolari Inpgi-Inpdap-Inps sui metodi di regolarizzazione.
Ovviamente, la prima ricerca non mirata ha fatto emergere in prevalenza una massa di pubblicisti dediti ad attività autonoma che, quasi sempre per ignoranza delle norme, non si erano mai iscritti alla Gestione Separata. La verifica sugli uffici stampa ha, invece, messo in evidenza, finora, i nomi di oltre cento colleghi – quasi tutti pubblicisti, e qualche professionista – dipendenti di aziende e società pubbliche e private, le cui posizioni (con arretrati contributivi spesso retrodatabili al 2001) non sono mai state trasferite all’Inpgi. I restanti nominativi non risultano, invece, iscritti all’Ordine, oppure svolgono l’attività in modo autonomo, ed hanno contribuzioni corrette.
OLTRE 100 NOMI – Per un’ulteriore scrematura mi sono servito anche dell’ultimo numero di Uomini-Comunicazione, edito da “Prima” nel dicembre 2015 (costa solo 25 euro, più 5 di spedizione). Uno strumento a suo tempo suggerito da Pierluigi Franz, che raggruppa, però, l’80 per cento delle 15 mila segnalazioni su Milano e Roma e mescola uffici stampa, uomini p.r. e addetti pubblicità e marketing, senza purtroppo indicare se giornalisti oppure no.

Qualche esempio, per illustrare la vastità del fenomeno elusivo: nell’elenco di enti e società che non hanno iscritto – in tutto o in parte – i colleghi dei loro uffici stampa all’Inpgi compaiono l’80% delle Asl regionali, grandi teatri, poli museali e sezioni dei Beni Culturali, Università e Politecnico, numerosi Comuni, la Città metropolitana (ex Provincia), associazioni di categoria, cooperative, multinazionali dell’industria e dei servizi, aziende municipalizzate, club sportivi professionistici, Banche di dimensione europea, Fondazioni, Camere di commercio e Unioni industriali.
Al termine della prima verifica ho inviato all’Ufficio contributi e vigilanza la lista con un centinaio di posizioni, in buona parte, credo, acquisibili all’Inpgi. Alcune aziende si stanno muovendo in modo autonomo per mettersi in regola, per altre dovrà necessariamente intervenire l’Istituto. So che le risorse dell’Ufficio vigilanza non sono illimitate, e spero perciò che esista un metodo legale per sollecitare e mettere ufficialmente in mora chi si trova in errore. Sono certo che in tutta Italia sarebbe possibile recuperare alla previdenza di categoria almeno duemila colleghi, per migliaia di anni di contribuzioni arretrate e decine di milioni di euro. Vale la pena tentare.

Roberto Reale, fiduciario Inpgi per il Piemonte