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  • Da: Assostampa FVG
  • gennaio 29, 2021

INPGI, SI ACCENDE IL DIBATTITO SULLA DELIBERA DEL CDA

Dopo la delibera che è stata approvata a maggioranza dal cda dell’Inpgi, di cui abbiamo dato conto ieri, si accende il dibattito sulle sorti del nostro istituto di previdenza.

Su richiesta di Andrea Bulgarelli, fiduciario Inpgi per il Fvg, diffondiamo il documento firmato dai tre consiglieri di amministrazione che hanno votato no alla delibera. E aggiungiamo la lettura che della delibera – e della situazione – dà Guido Besana, componente di giunta Fnsi.

 

Una promessa di tagli, inutili e temporanei, in cambio dell’ingresso immediato dei comunicatori, almeno quelli pubblici, altrettanto inutile per le sorti dell’Inpgi. Galvanizzata dalla crisi di governo e dalla speranza che un nuovo esecutivo possa modificare le posizioni finora assunte dai ministeri al tavolo di confronto, la maggioranza che guida l’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani ha tirato fuori dal cappello una nuova, anomala strategia: approvare una “delibera di intenti” con cinque misure di aumento delle entrate e riduzione delle spese, che però non saranno varate senza allargamento della platea contributiva.

Un’operazione di facciata, priva di qualunque sostanza visto che si tradurrebbe in nemmeno 20 milioni di euro di benefici l’anno per un quinquennio, e a cui noi abbiamo detto responsabilmente no. Perché punisce esclusivamente i giornalisti, attivi e pensionati, senza chiedere nulla agli editori, punta quasi tutto su nuove entrate e taglia in maniera minima costi come i compensi degli organi collegiali e del vertice dirigenziale dell’Istituto, ma soprattutto avvicina sempre più il commissariamento dell’Ente, invece di allontanarlo.

Le cinque misure ventilate prevedono infatti:

  1. l’aumento dell’1% per 5 anni della contribuzione previdenziale versata dai giornalisti attivi (pari a un’entrata di 10 milioni l’anno) e un contributo straordinario sempre dell’1% per i pensionati, uguale per tutti (5,5 milioni l’anno), con eventuale proroga della maggiore trattenuta per i soli colleghi in attività;
  2. l’abbassamento del limite di reddito cumulabile con la pensione a 5 mila euro lordi l’anno rispetto agli attuali 22.524,13 euro (maggiori entrate per 1,5 milioni l’anno);
  3. la sospensione delle prestazioni facoltative: assegno di superinvalidità (tagli di circa 1 milione l’anno); ricovero in case di riposo (circa 174 mila euro); sussidi (28 mila euro);
  4. la reintroduzione degli abbattimenti per le pensioni di anzianità, ma con riferimento alla norma della legge Fornero che permette agli iscritti all’Inps di andare in pensione a qualsiasi età con 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne: i giornalisti dovrebbero, invece, raggiungere comunque i 62 anni e subirebbero una riduzione della pensione dello 0,25% per ogni mese mancante rispetto al requisito Inps. Per esempio, con 40 anni e 5 mesi di contributi, requisito oggi previsto dall’Inpgi, le donne subirebbero un taglio del 4,25% e gli uomini perderebbero il 7,25% dell’assegno (risparmio totale di 255 mila euro nel 2021);
  5. la riduzione dei costi di struttura pari al 10% dei compensi degli organi collegiali (amministratori, sindaci e rappresentanti istituzionali, con un taglio di 120 mila euro) e del 5% di tutto il resto (con un risparmio da 1,14 milioni in totale), compresi i soldi riconosciuti alla Fnsi e alle Associazioni regionali di stampa, che ricevono contributi per 2,471 milioni di euro.

Sono scomparsi altri interventi ipotizzati in un primo momento, ma in almeno due casi per l’impraticabilità sancita al tavolo governativo: il contributo di solidarietà dal 15% al 40% sulle pensioni sopra i 100 mila euro e (per fortuna) la fusione tra le gestioni Inpgi 1 e Inpgi2, se finalizzata esclusivamente a ritardare il commissariamento ai danni dei più deboli.

Lo “scambio” viene descritto dalla maggioranza come atto di un percorso condiviso, ma in realtà è un atto di pressione inconsueta e indebita rispetto alle indicazioni del Parlamento e del Governo. La legge impone infatti all’Inpgi di procedere prima con le misure per ripristinare la sostenibilità, partendo dal taglio dei costi e dall’aumento delle entrate, e solo dopo, di fronte a un bilancio attuariale che certifichi la non sostenibilità dell’Ente, la possibilità di allargamento degli iscritti (dal 2023) con altre figure non identificate. Al tavolo governativo si sono sottratti definitivamente i comunicatori privati, anche per la loro ferma opposizione a entrare in un Ente previdenziale sull’orlo del fallimento, mentre è rimasta aperta la possibilità di coinvolgimento di quelli pubblici, con un ulteriore apporto di entrate di circa 50-55 milioni di euro l’anno.

Ma il rosso di bilancio dell’Inpgi è di 250 milioni l’anno. E al momento la necessità di liquidità aggiuntiva necessaria per pagare pensioni, tasse e altre spese dell’Istituto è di oltre 200 milioni.

Dai conti dell’Ente, resta un solo anno prima di non riuscire più a far fronte alla funzione pubblica che l’Inpgi deve assolvere per legge. Ed è chiaro che nessun taglio e nessun allargamento della platea è in grado di farlo uscire dalla drammatica emergenza, salvando le nostre pensioni senza un intervento dello Stato. Ovvero, quella garanzia pubblica (che non significa confluenza nell’Inps, tutt’altro) che la maggioranza continua a non voler porre sul tavolo del governo per non rinunciare ai privilegi (di pochi) che sono arrivati insieme alla privatizzazione.

Carlo Parisi, Elena PolidoriDaniela Stigliano

 

 

Il comunicato dei Consiglieri di amministrazione dell’Inpgi sulle possibili misure da adottare suscita, ovviamente, dubbi e interrogativi, anche perché non c’è una delibera con il testo delle modifiche al regolamento. Tuttavia considerando le regole esistenti si può tratteggiare un quadro un po’ più dettagliato. Provo ad andare per punti.

Premessa: la norma in vigore prevede che l’Inpgi vari alcune misure, finalizzate a riequilibrare i conti, faccia poi un bilancio attuariale con le previsioni a 50 anni e se risulta ancora uno sbilanciamento dei conti venga allargata la platea. L’attuale governo, parlandone da vivo, ha capito che le misure possibili non sono sufficienti, anche un bambino vedrebbe che è inutile perdere tempo con i bilanci attuariali, però non ci dà alcuna certezza sull’allargamento della platea, perché molti stanno mettendo i bastoni tra le ruote. Per chi fosse interessato rimando alla fine del post qualche ragguaglio.

Quindi queste misure verranno varate, con eventuali modifiche e integrazioni, solo se ci sarà l’allargamento della platea, perché in caso contrario risulterebbero insufficienti e si dovrebbe procedere con il commissariamento. Sono il frutto di un lavoro di verifica su tutte le misure proposte da tutti gli attori attualmente in scena, lavoro che ha scartato le ipotesi illegali, inutili, insensate e anche quelle indigeribili. Se però non ci sarà l’allargamento della platea allora ci sarà il commissario, e i tagli li farà lui.

1 – Il contributo straordinario dell’1% a carico degli attivi è evidentemente proporzionale, chi più guadagna più paga. Non può essere modulato come suggeriva qualcuno, gravando prevalentemente sulle retribuzioni alte perché è una aliquota contributiva e quindi deve essere introdotta come percentuale sul reddito. Una aliquota diversa per i pensionati, modulata a crescere come ipotizzato, costituirebbe una proroga del precedente contributo di solidarietà, che ci è vietato. Si pensa che un prelievo uguale per tutti sia più corretto sotto il profilo legale. Teniamo conto che le pensioni medie e i redditi medi viaggiano sui 60mila euro, significherebbe un prelievo lordo di 600 euro all’anno, 50 euro lordi al mese. Ovviamente sarebbero 25 per chi ha uno stipendio o una pensione di 30mila euro e 100 per chi li ha di 120mila.

2 – Quanto valgono queste misure? La domanda è centratissima, se i miei appunti dei mesi scorsi sono fedeli dovrebbero valere circa 20 milioni di euro l’anno, più o meno un decimo dello sbilancio. L’allargamento della platea ai nuovi soggetti dovrebbe valere, da conti fatti nel ’19 se non ricordo male con l’Inps e la ragioneria dello Stato, 130 milioni di euro l’anno, mentre l’ingresso dei soli comunicatori pubblici varrebbe circa 55 milioni di euro l’anno. Lo sbilancio attualmente è intorno ai 200 milioni, destinato a ridursi nel tempo per effetto della riforma del 2017 a patto che non cali ulteriormente il numero degli attivi.

3 – Pensioni di anzianità. Il requisito oggi in vigore all’Inpgi è di 62 anni e 5 mesi di età con 40 anni e 5 mesi di contributi. La richiesta arrivata dal governo era di applicare i requisiti della legge Fornero, la scelta di mantenere i requisiti attuali con un abbattimento che dura al massimo 2 anni e 5 mesi per gli uomini e un anno e 5 mesi per le donne, riducendosi col diminuire dell’anticipazione, è sicuramente meno onerosa dell’abbattimento ancora in vigore che per chi aveva i requisiti del vecchio sistema arrivava fino al 20% di riduzione della pensione.  La pensione di anzianità, come il prepensionamento, sono due opzioni che evidentemente fanno diminuire le entrate e aumentare le uscite. Se non ci fossero sarebbe più agevole ottenere l’equilibrio dei conti. Gli abbattimenti, che sono sempre stati previsti per varie fattispecie anche in passato, sono una sorta di invito a optare per un rinvio delle uscite dalle redazioni. Varrebbero per le pensioni future, non quelle in essere, e il meccanismo sarebbe di una trattenuta che varia in base ai mesi mancanti al raggiungimento dei requisiti Inps.

Stiamo parlando ad esempio di un collega che vada in pensione di anzianità a giugno prossimo, avendo compiuto 62 anni e 5 mesi e 40 anni e 5 mesi di contributi riceverebbe una pensione ridotta del 7,25% . Se invece si adottassero i criteri della legge Fornero dovrebbe aspettare novembre 2023 per andare in pensione. Lo stesso collega, se avesse già 42 anni di contributi, avrebbe una pensione ridotta del 2,5 % oppure dovrebbe aspettare aprile 2022.

4 – Il limite al cumulo, che riguarda solo i redditi da lavoro dipendente e autonomo, non gli affitti o altri redditi, e opera solo fino ai 67 anni di età, è un altro deterrente non solo per i colleghi ma anche per le aziende che possono oggi liberarsi di un giornalista con cinque anni di anticipo e riassumerlo o fargli un contratto di collaborazione a un terzo del costo, “promettendogli” un reddito in aggiunta alla pensione. La norma vigente permette di cumulare fino a 44 mila euro l’anno, più dello stipendio lordo di un redattore ordinario. E’ evidente che scoraggia il turn over.

5 – Le prestazioni facoltative. Verrebbero sospese quelle ancora operanti, mutui e prestiti ad esempio sono sospesi da anni. L’assegno di superinvalidità e il contributo per il ricovero in casa di riposo sono previsti per i pensionati con un reddito inferiore al minimo del redattore ordinario e sono incompatibili tra loro. sono prestazioni aggiuntive rispetto a quelle erogate dallo stato, non sostitutive. La sospensione  ovviamente non interromperebbe l’erogazione delle prestazioni in essere. I sussidi straordinari sono delle erogazioni a fondo perduto a favore di colleghi in particolare difficoltà che ormai non vengono già quasi più deliberate.

Postilla finale

Chi mette i bastoni tra le ruote:

  1. a) Il movimento 5 stelle ha deciso che bisogna abolire l’ordine dei giornalisti e dare una lezione ai giornalisti perché sono parte della casta. Inoltre ritengono che sia fondamentale eliminare i ruoli di intermediazione.
  2. b) La politica in generale non ha mai amato la categoria, anche se molti hanno approfittato dei suoi enti, ricordo il vezzeggiativo “iene dattilografe” e il prepensionamento di Gasparri con un paio d’anni al massimo di lavoro in redazione giusto per fare due esempi.
  3. c) Una parte della categoria ha pensato bene di sbandierare la tesi di una fantomatica garanzia pubblica da parte dello Stato che dovrebbe ripianare i conti dell’Istituto; garanzia pubblica vietata dalla legge, richiesta che ci ha fatto apparire come una categoria pronta a tutto pur di elemosinare soldi pubblici
  4. d) Alcune associazioni riunite in Fercom, associazioni del settore privato, hanno fatto una campagna contro la “deportazione contributiva di 350mila comunicatori”, cosa mai ipotizzata da nessuno ma che è servita a chi non ci vuole bene per sostenere che i comunicatori si rifiutano di passare all’Inpgi; nelle simulazioni fatte nel 2019 si ragionava su 14mila persone o poco più.
  5. e) Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti eletto nel 2017 si era impegnato a adottare una nuova declaratoria della professione giornalistica, che ci avrebbe permesso di estendere la definizione di giornalista a tutte le figure del mondo digitale (e non solo) anche ai fini previdenziali; questo non è avvenuto.
  6. f) Centinaia di pubbliche amministrazioni pur avendo assunto dei giornalisti nei loro uffici stampa, come prevede la legge 150 del 2000, continuano a versare i contributi all’Inps e non all’Inpgi, come prevede la legge, e tutti i Ministri della Funzione Pubblica e del Lavoro succedutisi in questi anni non hanno mai alzato un dito.

Guido Besana