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  • Da: Assostampa FVG
  • maggio 02, 2022

PRESUNZIONE D’INNOCENZA, BAVAGLIO ALLA STAMPA

Presunzione di innocenza fa rima con “bavaglio alla stampa”. Il Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti il 5 aprile ha approvato per acclamazione un ordine del giorno in cui si «evidenzia con preoccupazione il concreto rischio di una compressione/limitazione del diritto dei cittadini ad essere correttamente e compiutamente informati. L’entrata in vigore del decreto legislativo 188/2021 rende più difficoltosa la diffusione delle notizie relative a procedimenti penali (omettendo addirittura i nomi delle persone arrestate), lasciando un potere incontrollato in relazione a quali notizie i cittadini possano sapere o meno».

L’obiettivo principale, per stessa ammissione di esponenti politici che hanno sostenuto in Parlamento il provvedimento, è proprio quello di impedire o almeno di limitare fortemente la diffusione di notizie su indagini e processi. Ovviamente parliamo di indagini e processi relativi a persone eccellenti, non certo dei piccoli delinquenti. I principali aspetti della questione sono stati riassunti dal consigliere e componente del comitato esecutivo Gianluca Amadori, ex presidente dell’Ordine del Veneto. La norma è appunto il decreto legislativo 188 del 2021, in vigore dallo scorso 14 dicembre (senza necessità di conversione, trattandosi di decreto legislativo). Si tratta di un provvedimento di recepimento di una direttiva europea, la 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, che apporta modifiche ad un precedente decreto legislativo, il numero 106 del 20 gennaio 2006, che all’articolo 5 già disponeva precise cautele e limiti ai magistrati nelle modalità di diffusione delle informazioni relative ai procedimenti penali. Il principio tutelato dalla norma è sicuramente di estremo rilievo ed è senza dubbio condivisibile la volontà di tutela della presunzione di innocenza, di cui peraltro si occupa il Testo unico dei doveri del giornalista, che tratta in maniera ampia il dovere, in capo al giornalista, di rispettare la dignità delle persone e di fornire un’informazione completa e corretta.

Il principio di presunzione di non colpevolezza è sancito dall’articolo 27 della Costituzione, secondo la quale “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Va puntualizzato che il decreto 188 non si occupa direttamente dell’attività giornalistica (né impone ad essa alcun limite diretto), ma influisce in maniera pesante sulla possibilità dei cittadini di essere compiutamente informati in materia di cronaca nera e giudiziaria in quanto pone forti limitazioni alla diffusione, e dunque alla conoscibilità di notizie di cronaca nera e giudiziaria, nonostante esse siano di indubbio rilevante interesse pubblico. Nessuna di tali limitazioni era invece imposta dalla direttiva europea che si limita a imporre l’obbligo di non descrivere come colpevole una persona prima della sentenza definitiva e di indicare con precisione in quale fase di un procedimento penale ci si trovi. Il legislatore italiano ha invece palesemente approfittato dell’occasione per dare un giro di vite alla possibilità di diffondere notizie relative a procedimenti penali.

Il decreto 188/2011 innanzitutto concentra nelle mani di una sola persona – il procuratore della Repubblica – il potere di decidere se e quali notizie possano essere fornite all’opinione pubblica. La comunicazione è prevista soltanto attraverso comunicati stampa (diramati direttamente dal Procuratore o da lui espressamente delegati alle forze dell’ordine) o conferenze stampa. Inoltre il decreto prevede che possano essere fornite informazioni sui “procedimenti penali” soltanto nel caso in cui “è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico”. La scelta della conferenza stampa è consentita solo “nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti”. Le informazioni sui procedimenti in corso devono essere “fornite in modo da chiarire la fase in cui il procedimento pende e da assicurare, in ogni caso, il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”. Alcuni procuratori hanno interpretato la norma in maniera ampia, altri molto restrittiva con il risultato di ridurre sensibilmente ogni tipo di comunicazione, anche per timore di subire sanzioni e incorrere in richieste di risarcimento danni. Ad esempio i nomi sono praticamente scomparsi dai comunicati, anche se i nomi sono in molti casi elemento essenziale dell’informazione; spesso la notizia vera e propria. Nè la direttiva europea, né il decreto 188 vietano in alcun modo la diffusione dei nomi di persone coinvolte in procedimenti penali, fermo restando l’interesse pubblico della notizia.

A seguito dell’entrata in vigore del decreto 188 molti procuratori hanno attuato un “bavaglio” di fatto all’informazione, limitando i rapporti con la stampa a poche notizie, soltanto quelle scelte di propria iniziativa, decidendo i tempi di diffusione (anche a distanza di giorni o settimane dalla data di accadimento). Quegli stessi procuratori non sono invece disponibili a rispondere a quesiti posti da giornalisti in relazione ad eventi di cronaca (anche se di grande rilievo e interesse pubblico) o in merito all’esito di inchieste in corso. Come se non esistesse più un diritto dei cittadini ad essere informati. Inutile sottolineare che la giustizia è esercitata nel nome del popolo italiano e che processi e sentenze sono pubblici.

L’attuale normativa nazionale garantisce la conoscibilità e la possibilità di pubblicazione di tutte le informazioni relative ad atti d’indagine in corso, a patto che siano conosciute dagli indagati (sequestri, perquisizioni, ordinanza cautelari ecc.), e ovviamente di tutte le notizie relative ad indagini chiuse e processi in corso. La normativa europea e la giurisprudenza della Cedu sono ancora più ampie nel difendere il lavoro giornalistico e la sua importanza per un sistema democratico. Dunque, non può essere considerata legittima la forma di “censura” esercitata di fatto da parte di procuratori che non vogliono comunicare (o ritengono di farlo soltanto in misura minima) e vietano o limitano fortemente la possibilità di farlo anche alle forze dell’ordine. Già con il decreto legislativo 106 del 20 gennaio 2006 ai sostituti procuratori era stato fatto divieto di comunicare (se non appositamente delegati dal procuratore), ma le forze dell’ordine non avevano alcuna limitazione.

Ma non finisce qui. In sede di definizione del nuovo ordinamento giudiziario, sono in corso manovre per rendere ancora più stringenti i limiti alla diffusione delle notizie relative ad inchieste penali, introducendo specifiche sanzioni per i magistrati che decidano di diffondere notizie ai mezzi d’informazione: è facile immaginare quali saranno i risultati. Ma l’ulteriore “stretta” è in contrasto con il pronunciamento 245 del 2022 della Corte di giustizia che dichiara non punibile dal Garante della Privacy il giudice che, nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, cede dati giudiziari sensibili alla stampa. Non potendo dunque ipotizzare, almeno in tempi brevi, una riforma della norma, le prime iniziative dell’Esecutivo si sono concentrate in attività finalizzate ad ottenere un’applicazione la più aperta possibile delle disposizioni del decreto legislativo 188 del 2021. Lo scorso dicembre è stato scritto al procuratore generale della Cassazione e al vicepresidente del Csm sollecitando l’adozione di linee guida nazionali che garantiscano la libertà di stampa e il diritto dei cittadini ad ottenere un’informazione completa in materia di cronaca nera e giudiziaria. Il pg di Cassazione Salvi ha diffuso un comunicato stampa il 21 dicembre 2021 nel quale ribadisce che “informare l’opinione pubblica non è manifestazione della libertà di espressione del magistrato, ma un preciso dovere d’ufficio, come più volte affermato anche dalle fonti europee”. Il pg di Cassazione ha incontrato poche settimane fa tutti i pg italiani per raccogliere le loro opinioni e si appresta ad emanare le linee guida: per questo motivo il presidente dell’odg Carlo Bartoli ha già chiesto di poterlo incontrare per portargli le posizioni e le proposte dell’Ordine dei giornalisti.

A livello territoriale sarebbe opportuno che ogni Ordine regionale avviasse contatti con il rispettivo procuratore generale (che ha compiti di indirizzo in ciascun distretto) e con i procuratori della Repubblica di ciascun tribunale della regione al fine di ottenere un’applicazione della norma rispettosa dei diritti dei cittadini.

L’Odg, come suggerito da Amadori e condiviso dai colleghi, pensa, tra le altre cose, a una manifestazione a livello nazionale per denunciare la situazione, possibilmente prima che si concluda la discussione in Parlamento per la riforma dell’ordinamento giudiziario. A parere di alcuni giuristi il decreto 188/2021 esorbita i confini indicati dalla direttiva europea ed è dunque possibile chiedere alla Commissione europea di intervenire, contestando anche la violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), quella che garantisce la libertà di espressione e di stampa.

Detto di una norma sbagliata va fatta anche autocritica. La spettacolarizzazione dell’informazione, anche di quella giudiziaria, e il trattamento di notizie relative ad inchieste e processi da parte dei giornalisti non sempre sono conformi ai doveri deontologici. «Problema che rende non sempre facile contrastare le norme bavaglio, in quanto il fronte ostile alla stampa in questo momento appare compatto da parte della politica». Questo non giustifica la “censura”, anzi.

La strada, piuttosto, dovrebbe essere quella di incrementare e rendere effettive le sanzioni a chi viola i doveri professionali e ai soggetti non giornalisti che violano la dignità delle persone: molte informazione spettacolo transita attraverso contenitori di intrattenimento.

 

Renato D’Argenio, consigliere nazionale Ordine dei giornalisti

(dalla newsletter Ordine regionale)