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  • Da: Assostampa FVG
  • maggio 03, 2008

Ricordo di tutti i giornalisti uccisi

ROMA Per la prima volta gli undici giornalisti uccisi dal Dopoguerra e tutti quelli feriti dalla mafia, dalla camorra dai terrorismi rossi e neri sono stati ricordati insieme dai dirigenti della Fnsi, dell’Ordine e del Gruppo cronisti assieme ai loro familiari. La cerimonia del ricordo si è svolta in concomitanza con la Giornata Mondiale della Libertà di stampa indetta dall’Onu e dall’Unesco. La manifestazione si è svolta al Campidoglio, a fare gli onori di casa il sindaco Gianni Alemanno.
Le storie di queste vittime della libertà d’informazione sono rievocate in un libro pubblicato dall’Unione nazionale Cronisti (Unci), il cui presidente Guido Columba ha parlato di «storie diverse, ma accomunate da alcuni aspetti: nessuno aveva la vocazione dell’eroe, ma nessuno si è accontentato della versione ufficiale o di comodo degli avvenimenti. Hanno fatto giornalismo d’inchiesta, sono andati a vedere di persona, hanno raccontato cose che gli altri non vedevano o non volevano vedere. Sono stati animati da carica ideale ed etica e da passione civile. Hanno interpretato il giornalismo come veicolo e garanzia di progresso sociale e democratico».
Di libertà di stampa come «qualcosa che non si conquista mai, una volta per sempre» ha parlato poi il Segretario generale della Fnsi, Franco Siddi. Lorenzo del Boca, presidente dell’Ordine, ha definito il giornalismo come «il termometro della civiltà di un paese»; l’impegno dei cronisti siciliani (creatori del Giardino della Memoria) è stato evocato dal loro presidente Leone Zingales. Ma soprattutto toccanti sono state le voci dei fratelli, dei figli, delle mogli, che portano nomi scritti col sangue nella storia d’Italia: De Mauro e Casalegno, Tobagi, Fava, Rostagno ed altri ancora, compreso Emilio Rossi, che ha raccontato la sua vicenda di gambizzato dalle Br, quando era direttore del Tg1 nel 1977, due giorni dopo l’analogo attentato a Montanelli. «Ormai mi stavo rassegnando a pensare che toccasse solo a noi familiari, a noi superstiti, piangere queste vittime dimenticate» ha detto con fermezza e commozione Alberto Spampinato, fratello di Giovanni, corrispondente dell’Ora di Palermo, ucciso dalla mafia nel 1972. «Questo pensiero forse più di ogni cosa in questi anni mi ha amareggiato, mi ha fatto pensare che il dolore che io e miei cari abbiamo sofferto, la perdita che abbiamo subito fossero solo dolore privato, lutto personale di padri, madri, figli, fratelli, sorelle. Oggi voi che rappresentate il giornalismo e la Repubblica, con questa cerimonia ci dite che non è così: che il nostro dolore è anche il dolore del giornalismo e della Repubblica». Parole che riecheggiano quelle di Elena, la figlia di Giuseppe Fava («Se siamo qui è perché non ci consideriamo più vittime»); che si legano a quelle di Giovanni, fratello di Peppino Impastato (ricordato nel film `Cento passi´), quando ricorda che «negli anni Sessanta era impossibile perfino parlare di mafia». Parole che denunciano, come quelle di Francesco, figlio di Beppe Alfano, secondo il quale «quei giornalisti sono stati soli e oggi l’Ordine dovrebbe costituirsi parte civile nei processi. Dopo anni di processi tuttavia è stata riconosciuta da una sentenza la qualità di giornalista professionista di Mino Pecorelli, ha detto la sorella. Qualifica che ancora non aveva il giovane Giancarlo Siani, pubblicista corrispondente del Mattino da Torre Annunziata, il cui fratello ha invitato tutti, soprattutto i giornalisti giovani a leggere il libro della memoria preparato dall’Unione Cronisti Italiani.