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  • Da: Assostampa FVG
  • dicembre 16, 2022

ESPRESSO, È ARRIVATA LA BUFERA

«La nuova proprietà dell’Espresso ha comunicato al Comitato di redazione l’immediata e immotivata sostituzione del direttore Lirio Abbate proprio nel momento in cui deve essere attuato il piano editoriale». Lo scrivono il Cdr dell’Espresso e il sindacato Rsa sul sito web del settimanale. «La redazione dell’Espresso – proseguono – ha proclamato lo stato di agitazione, si riunisce in assemblea permanente e ha dato mandato al Cdr di prendere ogni tipo di iniziativa a tutela del prestigio e dell’indipendenza della testata».
La storia più grande si incarna spesso in vicende apparentemente più piccole, che hanno -però- la forza evocativa di un processo generale. Di una tendenza. È il caso de L’Espresso e dei suoi ultimi contorcimenti. La nuova proprietà, quella di Danilo Iervolino ex patron dell’Università telematica Pegaso e socio rilevante di Bfc Media, ha mandato via il direttore del settimanale Lirio Abbate.

Il comitato di redazione è insorto, annunciando una vertenza molto forte. La novità, il cambio di stagione stanno proprio nel messaggio secco che emerge dalla vicenda: le regole sindacali, sancite da contratti e lotte decennali, non valgono più. Ma un comportamento così ostile e autoritario non trae origine solo dalle sgradevoli culture imprenditoriali ora prevalenti, bensì pure dalla crisi profonda dell’editoria. Non sembri un paradosso. Quanto più è veloce la discesa dei quotidiani e dei periodici in termini di appeal e di vendite, tanto maggiore è l’involuzione dei modelli proprietari. Avere una testata non ha un riscontro di mercato o industriale, bensì un valore indiretto.

Il business è in decrescita infelice, ma il predominio sui comparti dell’informazione è utile per rafforzarsi nel tessuto delle relazioni. E di relazioni vive il capitalismo delle piattaforme, lontano dalla manifattura fordista e dalla sua materialità. Il miscuglio tra tecnologie digitali e navigazione tra i poteri richiede di esibire qualche fiore all’occhiello. Ed ecco che L’Espresso, storica e blasonata testata di un’altra età della vita pubblica, oggi cambia pelle e rimane un patrimonio storico. Si tratta, probabilmente, di un avamposto del percorso che si è avviato. Oggi il giornale che fu di Benedetti, Caracciolo e Scalfari muta ragione di essere. E chissà se la Repubblica non seguirà. Del resto, non si capirebbe perché mai si pensa di investire in un settore prossimo al big bang (tra il 2030 e il 2032 la carta stampata, sostengono gli esperti, chiuderà i battenti passando il testimone all’online), se non per l’incombenza di finalità ultronee. Ora vedremo quale grado di conflitto si dispiegherà e se attorno a tale emblematica storia si svilupperà finalmente una discussione.

È un passaggio delicatissimo, un giro di boa. Ne va dell’autonomia e dell’indipendenza dell’informazione. Povero L’Espresso, già entrato con Gedi nell’orbita eccentrica di Exor e nel marzo scorso acquisito dal citato Iervolino. Certamente si muoverà la Federazione della stampa, e forse sarà depositata qualche interrogazione parlamentare. Ma è arrivata la bufera, è arrivato il temporale, per evocare il compianto Rascel.

(Vincenzo Vita, Articolo 21)