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  • Da: Assostampa FVG
  • aprile 01, 2009

L’UNICO CONTRATTO POSSIBILE

L’ipotesi di accordo per il nuovo contratto nazionale dei giornalisti, che era scaduto da oltre quattro anni, dopo la firma avvenuta nella notte fra giovedì 26 e venerdì 27 marzo ora affronta i passaggi previsti nella categoria: oggi a Roma si riunisce la Commissione contratto, domani il Consiglio nazionale, venerdì la Conferenza dei cdr. Poi ci sarà il referendum, che ha valore consultivo.

Ecco l’intervista che il segretario Franco Siddi ha rilasciato al sito Articolo 21, spiegando il nuovo contratto.

C’è il contratto. E ci sono i giornalisti. Un’intesa è stata raggiunta e la Federazione Nazionale della stampa porta a casa una bozza di contratto che andrà confrontata con la categoria. Anche passando per un referendum “perché non è un obbligo statutario ma lo sentiamo come obbligo morale. So che ci sono alcune redazioni che guardano a questa bozza con perplessità, alcuni colleghi lo contestano. Noi siamo pronti ad andare in ogni redazione a spiegarlo poiché siamo convinti della bontà dell’accordo”. E’ Franco Siddi a parlare, il Segretario della Fnsi. “Sarà un atto di democrazia conclusiva”, afferma.

Bisogna partire da premesse politiche per poter comprendere l’accordo sottoscritto con gli editori.

“Siamo nel pieno di una congiuntura straordinaria che interessa tutti i paesi a economia industriale avanzata e investe l’editoria in tutto il mondo. Eravamo in presenza di una forte negatività nei rapporti sindacali con la Fieg. Gli editori hanno fatto melina per tre anni. Nonostante questo siamo riusciti, con la bozza di intesa, a segnare un punto di svolta che ha alcune valenze essenziali."

Quali sono?

Intanto il Contratto collettivo nazionale di lavoro continua e non cessa la sua ragione d’esistere quale strumento unico strumento valido per i giornalisti, anzi, si estende a tutti i media e anche all’informazione integrata. E’ un punto di svolta perché la Fieg, dopo il contratto del 2001, non lo aveva più voluto rinnovare. Ed è un punto di svolta perché, con il nuovo contratto, no ha giornalisti di serie A e B. Dichiarata conclusa la fase di emersione (giornali elettronici) con stipendi più bassi e contratti a termine (poco efficace), non ci saranno più differenziazioni retributive e normative. Abbiamo fatto, tra il 2006 al nel 2007, 18 giorni di sciopero dimostrando la tenuta sindacale di una professione che si sente autonoma e indipendente e ha imposto all’unisono che il contratto non si può cancellare come volevano gli editori. Abbiamo imposto agli editori di riconoscere che è un’esigenza per tutto il sistema , anche per loro, per governare i processi di cambiamento, per continuare a realizzare prodotti qualificati e rispettosi dei canoni essenziali della qualità di chi fa informazione. Questo impegno della categoria deve essere riconosciuto a livello morale, sociale, economico, culturale e professionale.

Perché gli editori volevano cancellare la contrattazione collettiva?

La figura dell’editore è cambiata. Il più delle volte l’editore ha anche altri interessi economici più importanti di quelli editoriali. Sulla base di questo modello, in tanti volevano distruggere tutta la parte relativa ai poteri delle redazioni che, secondo loro, decidevano cosa fare in casa loro, in una loro proprietà. Non è così che funziona e può funzionare un settore essenziale per la democrazia come l’informazione che è bene e interesse collettivo. E dal 1911 ad oggi, per 27, ora quasi 28 contratti, i giornalisti uniti hanno sempre sostenuto questa tesi e ne hanno preteso il rispetto anche nella bozza di intesa sottoscritta. Il risultato è merito dell’impegno di tutti. Della passata giunta e di quella attuale.

C’era preoccupazione per la difficoltà a raggiungere l’intesa, espressa sia dai massimi vertici istituzionali del Paese che da molte altre categorie sindacali. Secondo lei proprio per questo motivo?

Certo, e dobbiamo affermare che le Istituzioni, al di là dei governi, sono stati sempre al nostro fianco. Il contratto dei giornalisti è inteso da tutti come un cardine di quello che può essere definito il piano regolatore del sistema dell’informazione in Italia. E le altre categorie erano preoccupate perché l’ipotesi di cancellazione del contratto dei giornalisti poteva aprire una breccia in tutta la contrattazione collettiva nazionale del lavoro.

Forse non è chiaro a tutti. Che cosa poteva succedere se il contratto collettivo fosse stato cancellato?

Si sarebbe messa la professione, il giornalismo, il modo di fare informazione, direttamente nelle mani dell’editore. Avrebbe potuto scegliere di contrattare direttamente con i singoli giornalisti, si sarebbero creati colleghi di serie a e serie b, vi sarebbe stata una deregulation complessiva nel settore, sarebbero sparite regole, autonomia, solidarietà. Noi abbiamo posto al centro del contratto l’unità dei giornalisti, quella sindacale, le regole, i diritti civili e di libertà, l’autonomia professionale e, ovviamente, anche la contrattazione economica.

Qualcuno però dice che avete concesso agli editori troppo dal punto di vista economico…

Lo dice chi pensa che si arrivi ad un nuovo contratto partendo dalla base di quello vecchio. Senza pensare, però, che il vecchio contratto è stato liquidato dagli editori; non esisteva più. Chi fa i conti partendo da questo sbaglia, perché quel contratto non c’è e, in ogni caso, se vogliamo proprio legarci a quello, possiamo dire che i risultati, anche economici, ci sono.

Qualcun altro afferma, ovviamente parliamo di quelli che sono soddisfatti, che il nuovo contratto è di maggiore solidarietà per i giornalisti…

Questa è una verità. Intanto abbiamo definito che tra giornalisti che lavorano sull’on line e sulla carta stampata o in tv, si deve ragionare nello stesso modo. Tutti sono giornalisti. Poi abbiamo aumentato il parametro di minimo per i redattori di prima nomina, quelli più deboli. Lo abbiamo difeso con unghie e denti portando il suo parametro, nella scala retributiva, da 71 a 81. Il redattore di prima nomina, con i vecchi parametri, avrebbe preso un aumento di 188 euro. Noi abbiamo portato l’aumento a 213 euro. Poi abbiamo inserito strumenti incentivanti verso le imprese per regolarizzare giornalisti inquadrati con contratti diversi. Da parte della Fnsi c’è stata la presa d’atto di una realtà professionale che cambia, dove il 30% di occupazione è fatta da contratti a termine. E per costoro non ci sono scatti di anzianità che incrementino lo stipendio; solo i minimi retributivi potevano e possono, come avviene, farlo. E con i minimi crescono i contributi previdenziali e si crea un migliore “castelletto” per le future pensioni. Non possiamo prescindere dalla condizione in cui si vengono a trovare i colleghi più deboli. Oggi il contratto che riparte è quello che continuerà, che tra due anni definisce altri aumenti. E arriva dopo 49 mesi di assenza contrattuale. Si è scelta la strada della solidarietà e il gruppo dirigente ha fatto scelte difficili e di responsabilità. C’è un aumento di 265 euro. E si pu&ograv e; anche sacrificare un po’ chi ha già di più per chi invece, tra di noi, ha poco.

Ma gli aspetti di solidarietà fanno riferimento anche ad un patto generazionale e a misure che tendono alla salvaguardia delle pensioni più basse, degli ammortizzatori sociali, dei contratti di solidarietà e dei prepensionamenti? In una situazione di crisi ed in un mondo del lavoro che cambia, un sindacato dovrebbe pensare anche a questo o sbaglio?

Infatti questa è una parte fondamentale del nuovo contratto. Sono effetti che non si vedono in busta paga ma che consolidano la professione e la mettono in sicurezza. Fino ad oggi lo stato di crisi, gli ammortizzatori sociali, sono stati pagati dall’Inpgi. Ora c’è un intervento dello Stato per 20 milioni di euro. Ma anche gli editori sono chiamati ad intervenire. Pensiamo ai prepensionamenti. Dal 2009 si apre un fondo comune in cui gli editori verseranno il 30% del costo delle pensioni anticipate. Una media di 140mila euro per ogni prepensionamento. Si tratta di una misura che ha una doppia valenza. Da una parte quella di contribuire direttamente alla misura, dall’altra diventa anche un deterrente al prepensionamento. Ci sono dei costi per l’editore , che non può adottare la misura senza fare due conti. Questo dovrebbe portare a importanti riflessioni prima dell’apertura di uno stato di crisi.

E per la cassa integrazione?

C’è un organismo bilaterale (Giornalisti ed Editori) presso l’Inpgi che darà vita ad un fondo comune. E insieme, in questo caso, dobbiamo chiedere l’intervento anche dello Stato. Su questi temi non abbiamo assolutamente timore nel portare avanti una trattativa unitaria con gli editori per la nascita di un welfare nuovo per il settore editoriale. Ma non può accadere più, e in questo la bozza di contratto fornisce delle risposte importanti, che l’Inpgi sia un bancomat ad uso e consumo degli editori per gli stati di crisi. Su questo c’è un lavoro comune, ovviamente, anche con L’Inpgi. Faccio solo un esempio. Se lo Stato estenderà gli ammortizzatori sociali per i precari degli altri settori, chiederemo al governo in una richiesta, frutto di un patto comune co n gli editori, che gli ammortizzatori vengano estesi anche al lavoro precario nel nostro settore.

Torniamo ai malumori. Alcuni al Messaggero, al Corriere della Sera, in Rai affermano che la bozza di contratto è scarsamente premiante, in termini economici, per una parte di giornalisti, quelli con i livelli più alti e, lo dico io così evitiamo qualsiasi problema, forse anche per quelli più garantiti. Non è comunque l’elemento di solidarietà che dovrebbe chiamare alla difesa di questo contratto tutti i colleghi, da quelli più fortunati a quelli meno fortunati? Non è questo il vero patto generazionale di solidarietà a cui ogni categoria dovrebbe essere chiamata a dare risposte?

In questo contratto noi non vogliamo abbandonare i freelance, chi ha contratti atipici. Ripeto, parliamo di più del 30% della popolazione occupata nella nostra categoria. Noi rappresentiamo tutti i giornalisti. Ora, nelle aziende più ricche, dove vi sono i contratti integrativi, c’è qualche malumore. Ma parlano osservando solo la superficie. Il vecchio contratto non c’è: negando l’incremento dell’indennità di vacanza contrattuale (sarebbero stati 17 euro da gennaio), la Fieg ha chiarito il senso della denuncia di un contratto scaduto. Solo chi c’è l’ha oggi, il contratto, avrebbe continuato a goderne. E gli scatti di anzianità con il vecchio sistema si calcolerebbero sui minimi di stipendio bloccati; e chi ha contratti a termine sarebbe rimasto al palo; e i nuovi assunti affidati alla carità dell’editore circa l’applicazione del contratto scaduto o di quello del 1959 per la parte valida erga omnes, in quanto ricompreso in una specifica legge sull’applicazione dei contratti del tempo. Attenzione alle paure che nascono da sentimenti, neanche tanto nascosti, di egoismo e vengono coperto da ragionamenti tecnici che non poggiano su basi di nuda realtà! Il dissenso è legittimo e va ascoltato, ma dobbiamo capirci. Siamo pronti ad andare a parlare in tutte le assemblee di redazione. E in quelle aziende dove sono messi in pesante discussione accordi integrativi solidi, è bene che le rappresentanze sindacali, anche con il nostro aiuto, lavorino per una riconferma di quei contratti. Ma se alcuni colleghi si lamentano per il con tratto collettivo, dovrebbero pensare che il contratto che noi abbiamo firmato estende le garanzie per tutti i colleghi e provvede ad aumenti che, in percentuale, premiano maggiormente i più deboli. Abbiamo abolito il contratto differenziato, e con questa bozza vi sarà una contribuzione più alta per l’Inpgi. Questo assicura il futuro di tutta la categoria. Abbiamo inserito anche un contributo di solidarietà di 5 euro per le pensioni più basse. Il contratto, come dice lei, risponde alla necessità di un patto generazionale.

Certo, non è il livello massimo che volevamo raggiungere ma il livello massimo raggiungibile, in questo tempo.